“Lu Mannali” in Gallura: retroscena di un festoso rito familiare

By Antonella | No Comments

Percorrendo da Olbia la strada per Buddusò, attraversando Loiri, Montelittu e Azzanì, si intuisce perché il mondo sembra di tanto in tanto fermarsi e a tratti recuperare il tempo perduto. In queste zone ancora incerte tra il vecchio e il nuovo, la cui gente è immersa nella tradizione eppure costantemente attratta dalle novità, si vive come su due vite parallele, che si incontrano e dividono restando tuttavia ben definite. Qui le tradizioni galluresi resistono forti e si ha ancora vivo il ricordo di quando, fino quasi agli anni ’70 del novecento, si viveva senza energia elettrica, quando le strade erano poco più che mulattiere, quando spostarsi era complicato e si cercava di produrre a casa ciò che serviva. Percorrendo queste strade in pieno inverno, sull’asfalto che si disegna tra le tanche lavorate di fresco, si sente forte l’odore “di l’ammazzatogghju” portato dal vento che s’insinua tra le case, un misto di sangue e setole bruciate che solo chi ha vissuto da sempre la preparazione del maiale sa riconoscere. A dicembre c’è odore di festa nelle campagne, qui gli stazzi resistono ancora e sono vivi, ci si sposta di casa in casa quando si preparano gli insaccati, per aiutare gli amici in questa operazione che richiede giorni, per scambiarsi le novità, per preparare e mangiare insieme il risotto con la pulpeddha, un rito mai dimenticato. “Lu mannali” è stato chiuso per molti mesi, in attesa del giorno in cui sarà sacrificato per alimentare la famiglia; quando è tempo, gli uomini sbrigano personalmente questa delicata operazione, con perizia, per non far soffrire l’animale: conoscono il punto giusto in cui affondare la lama, senza indugio ma col rispetto che si deve a una vita. Ad occhio si pesa la bestia, si decide come procedere per il taglio e lo svuotamento, anche queste operazioni che richiedono grande attenzione e perizia, si beve del vino, si parla; anche questo, se vogliamo è come un salotto, un piccolo forum campestre in cui si parla di lardo, vita e morte, matrimoni e cucina, studio e lavoro, salute, ognuno portando un po’ di storia di sé. Si beve e si parla pensando al domani, ai propri figli e agli amici, al nuovo anno, in questa vita appena sfiorata dalle lontane questioni nazionali, in questo cortile chiuso nei confini semplici della gestualità ancestrale. Si lavora alacremente tra le mura domestiche, occorrono molti contenitori, stracci puliti, acqua bollente, spezie e sale, aglio, vino e finocchio selvatico, a chi piace, per condire la polpa tagliata a piccoli pezzi, occorre lavare bene il budello, preparare la cantina ad accogliere le salsicce che penderanno dalla pertica per almeno quaranta giorni. Forse a Natale, forse a Capodanno, si commenta. Ognuno un compito, gli anziani seduti al fuoco raccontano storie, vecchi ricordi che affiorano, di quando Babbai Petru era giovane e guidava la sua Balilla, unico esemplare, di quando pioveva tanto che i fiumi straripavano, di quando alle scarpe si applicavano i chiodi perché durassero di più. I ragazzi fanno spallucce, sembrano distratti, tornano al cellulare (che in queste zone bisogna tener fermo in un punto perché non c’è campo), ma la luce nei loro occhi dice che questi giorni li ricorderanno molto bene, tra dieci, vent’anni forse, torneranno ad affiorare tra le speranze e il reale; i più fortunati avranno ancora uno stazzo cui badare, un tancatu e un mannali, un lembo di Gallura su cui vivere.
Antonella Bonacossa – Agriturismo in Sardegna B&B Olbia

Per approfondimenti: salsiccia sarda, Tradizioni in Gallura

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